[REVIEW] Last minute to Jaffna – Volume III
Doom acustico? Si, può, fare! Sempre più in balìa dai mantra dai sapori orientali della (cosiddetta, ormai) psichedelia occulta targata La Delìrante piuttosto che Boring Machines, Torino sembra ricordare la Mosca esoterica di Bulgakov ne Il Maestro e Margherita. Da una parte le orge doom-jazz de La Piramide di sangue, dall’altra i demoni liberati dalla chitarra di Paolo Spaccamonti. Tra i rivoli di sabbia e sangue di questa ammaliante psichedelia sabauda, i Last Minute to Jaffna brandiscono il martello del metal(lo) con il fare degli scultori, piuttosto che dei fabbri. Rispetto al tornado di decibel dei piemontesi Ufomammut, ad esempio, i LMTJ hanno sempre preferito il contesto intimista, introspettivo, avvolgente (appunto): non c’è da stupirsi dunque se questo Volume III diradi sempre più le supernovae elettrificate in favore di arpeggi acustici, meditabondi ma inquieti. Visionari e allucinati come (volessero condividere la roulotte con) i Kyuss delle Desert Sessions, ma (sempre) capaci di improvvise fughe math (gli incubi da peyote dei Tool) e road trip in-qualche-misura folk alla maniera dei Black Heart Procession (attenzione al corno francese dell’ospite Stefano Casanova). Tutto filtrato dalla Polaroid in slow motion di Dylan Carlson (Earth) ed impreziosito dai ricami tra viola elettrica e kalimba africana di Fabrizio Palumbo (Larsen). Il cantato ieratico ma dimesso cavalca le dune di riff che si perdono l’uno nell’altro, dilatando il minutaggio, a ribadire – forse – che in quel minuto prima che il cataclisma si abbatta sull’isola di Jaffna ci passa tutta una vita. Ma anche 21 grammi di roba buona.
Lorenzo Giannetti
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