LAST MINUTE TO JAFFNA
I Last Minute To Jaffna (da ora in poi, per comodità, LMTJ) sono da sempre nel nostro radar, questione di affinità elettiva e di background comune, e di certo ci fa piacere occuparci di loro e seguirne le mosse. Eppure, mentre aspettavamo l’uscita di Volume II, sono riusciti a prenderci di sorpresa con l’uscita di Volume III, un lavoro che li presenta senza distorsione e con un mood differente, svelando nuove sfaccettature del loro suono, un loro lato più intimo. Così abbiamo pensato fosse il caso di scambiarci quattro chiacchiere per saperne di più e capire se si tratta solo di una parentesi o c’è dell’altro.
Piccolo riassunto, facciamo un attimo il punto della situazione? Come procedono le cose e cosa è successo ai LMTJ negli ultimi mesi?
Dano (chitarre): Ciao Michele! Il punto della situazione è questo: dopo un bel po’ di tempo finalmente siamo riusciti a pubblicare un disco. Sono praticamente tre anni che abbiamo finito di lavorare sui pezzi di Volume II e Volume III, tre anni in cui – anche se siamo stati poco visibili – non ci siamo mai fermati, registrando/missando i due dischi, e andando avanti a suonare in giro e a buttar giù idee nuove.
Raccontateci un attimo come è nata l’idea di arrangiare i brani in questa nuova maniera e di come è stato ascoltarvi in questa veste al netto di distorsione?
Buona parte dei nostri pezzi origina da giri di chitarra di Valerio o miei. Anche se alle prove prendono forma e suono grazie alle distorsioni e agli effetti, nascono fondamentalmente puliti. La curiosità di sentirli suonare completamente acustici era un po’ che ce l’avevamo, e la data con Scott Kelly è stata l’occasione giusta per metterci li e farlo sul serio. Spogliati di tutto, chiaramente hanno preso un’altra piega. I primi a rimanerne stupiti siamo stati noi stessi, tant’è che dopo aver lavorato per sottrazione, quando ci siamo messi a registrare il disco ci siamo lasciati prendere la mano e abbiamo cominciato ad aggiungere strati sonori, per cui da un set totalmente unplugged siamo arrivati ad avere un disco pieno di suoni che di acustico avevano ben poco e che sono parecchio diversi dalla nostra solita dimensione. È bellissimo sentire gli stessi brani assumere colori e atmosfere decisamente differenti dagli originali, pur rimanendo fedeli al nostro immaginario.
Avete, insomma, aggiunto alcuni sapori differenti e chiamato ad aiutarvi alcuni amici. Come sono nate queste collaborazioni e che tipo di rapporto avete instaurato con i musicisti? Avevate già le idee chiare su cosa chiedere loro o lui avete lasciati liberi di interagire con i brani?
Abbiamo invitato Fabrizio Modonese Palumbo e Stefano Casanova perché su questo disco volevamo mettere suoni e strumenti diversi dal solito. Fabrizio è una persona che ci ha sempre suscitato molta curiosità e una buona dose di rispetto/ammirazione… il suo curriculum parla da sé… da uno che ha lavorato con gente come Michael Gira o Xiu Xiu potevamo solo imparare. Ci conoscevamo da qualche tempo, ma non così bene, perciò quando gli abbiamo chiesto di partecipare al disco non davamo affatto per scontato che avrebbe accettato. L’aver lavorato con lui è stato un’esperienza splendida, perché oltre al piacere di lavorare con un musicista del genere abbiamo avuto l’occasione di conoscerlo meglio come persona e instaurare una bella amicizia. Con Sten, invece, l’approccio è stato decisamente più diretto, nel senso che con lui ci conoscevamo già da prima che A Cold Dead Body diventasse una band vera e propria, quindi ci è venuto abbastanza naturale chiedergli di partecipare: ci piaceva l’idea di avere dei fiati e sapevamo che lui non avrebbe avuto problemi a entrare nel mood del disco.
A entrambi abbiamo lasciato carta bianca, sia sulla quantità sia sulla qualità degli interventi. Noi stessi non avevamo le idee chiare su che cosa volevamo esattamente, per cui ci siamo affidati al loro estro. Col famoso senno del poi posso dire che non ci siamo minimamente pentiti.
Credete che questo esperimento inciderà sulla vostre evoluzione? Rimarrà un caso isolato o avrà comunque un impatto sul vostro modo di porvi in fase compositiva?
Sicuramente il lavoro che abbiamo fatto con questo disco ha avuto un impatto non da poco sul nostro modo di suonare e di scrivere, sia dal punto di vista dell’approccio ai pezzi, sia da quello della produzione. Tanto per cominciare alcuni degli esperimenti sonori che abbiamo fatto su questo disco sono diventati parte integrante del nostro suono anche in elettrico, ma soprattutto quest’esperienza ci ha fatto imparare moltissimo dal punto di vista del controllo delle dinamiche.
Parlando invece di eventuali altri dischi acustici, credo che in futuro riproporremo in qualche modo questa formula un po’ più intima, anche se per ora non c’è nulla di deciso o pianificato. Stiamo lavorando da un po’ su quello che sarà Volume IV e, tanto per essere chiari, Last Minute To Jaffna continua ad essere un gruppo coi chitarroni.
Mentre molti vostri “concorrenti” sembrano buttar fuori dischi a intervalli regolari, non si può dire che voi siate una formazione particolarmente prolifica, slow-food attitude o altro?
Tocchi un tasto dolente, nel senso che negli ultimi anni abbiamo registrato due dischi dei quali il primo è uscito soltanto ora, e il prossimo uscirà speriamo entro l’anno. Immagino tu possa capire quanto sia logorante a livello mentale avere un disco pronto, di cui sei convinto al 110% ed essere intrappolato in lungaggini varie senza riuscire a pubblicarlo. Detto questo, abbiamo tenuto duro anche quando per un anno e mezzo siamo rimasti senza bassista stabile, continuando a suonare dal vivo come trio e continuando a scrivere pezzi nuovi. Il fatto di aver aperto un’etichetta va visto anche da questa prospettiva: siamo più liberi di pianificare le nostre uscite e di darci scadenze che dipendono esclusivamente da noi. Detto anche questo, l’idea dello slow food ci piace molto e sicuramente sul lungo periodo paga.
A proposito, cosa mi dite di Volume II, quando vedrà la luce?
Il disco è pronto, manca solo il mastering. Toccando ferro, l’idea è di farlo uscire in autunno, ma sinceramente l’esperienza di Volume III ci ha insegnato che spesso anche su piccoli particolari saltano fuori lungaggini estreme che fan saltare anche i piani meglio congegnati.
Mi ha molto colpito l’artwork di Volume III, chi se ne è occupato e a che cosa si ispira? Esiste un legame tra la creatura raffigurata in copertina e la natura mutante/ibrida delle composizioni?
L’artwork è di Rubinia Di Stefano, la ragazza che ha fatto il (bellissimo) poster della data con Scott Kelly. Come avrai notato tutti gli artwork dei nostri lavori richiamano il mare, e questo non è da meno. Ci piaceva l’idea di un mostro marino da atlante medievale ed è venuta fuori questa creatura ibrida, metà cinghiale e metà tricheco, che secondo noi rappresenta bene le caratteristiche della nostra musica. Rubinia è stata bravissima a realizzare la nostra idea, l’artwork è proprio quello che avevamo in mente.
Al legame tra la creatura ibrida e i pezzi ibridi sinceramente non ci avevamo mai pensato, ma direi che oltre a starci tutto mi piace parecchio!
Sempre più, la necessità di sfuggire a gabbie e recinti di genere porta a rimettere in discussione le proprie radici e a rivedere le proprie certezze, credete che in questo ultimo periodo le cose abbiano avuto un’accelerazione proporzionale alla velocità di consumo e di acquisizione della musica in rete?
Sicuramente l’enorme disponibilità di musica della rete facilita la scoperta di band/artisti/dischi sempre nuovi, e questo non può non influenzare chi suona. Il punto importante è quello di non smarrire la bussola, portando avanti un discorso con un filo rosso ben preciso. Per noi fortunatamente le cose sono andate in maniera molto naturale, nel senso che certi tipi di suoni/atmosfere fanno parte dei nostri ascolti più o meno da sempre, e se negli anni Novanta abbiamo consumato i vari unplugged di Nirvana o Alice In Chains, crescendo invece abbiamo conosciuto e apprezzato progetti decisamente più vicini a certo post-folk, dai Grails agli Earth per finire ad Harvestman, Swans o agli stessi Death In June, e credo che ascoltando il disco tutto questo emerga abbastanza facilmente.
Cosa vi ha maggiormente colpito di recente e cosa credete abbai avuto un impatto nella vostra crescita come musicisti, anche al di fuori dei LMTJ?
Di sicuro tutte le collaborazioni che abbiamo fatto singolarmente in un modo o nell’altro si riflettono nella nostra musica. Parlando per me, il fatto di aver cominciato a lavorare in uno studio mi ha portato a lavorare con musicisti diversi, confrontandomi con idee e suoni diversi, e l’esser migliorato come tecnico mi ha fatto sicuramente migliorare anche come musicista. Oltre a questo, sia la collaborazione dei LMTJ con Fabrizio Modonese Palumbo (che spesso si palesa anche dal vivo), sia quella mia con Davide Balliano e Steuso Manzi dei Tons sono state importanti per esplorare territori sonori nuovi.
A voi le classiche conclusioni e grazie mille per il vostro tempo…
Grazie a te e agli altri ragazzi di The New Noise per l’attenzione, il tempo e il supporto che ci avete dedicato, e soprattutto grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qua. Nel prossimo futuro abbiamo un po’ di date in giro, speriamo di incontrarci presto.
Michele Giorgi