Last Minute To Jaffna – Volume III
Ricordo bene quando per la prima volta sentii nominare i Last Minute To Jaffna. Da studente di provincia carambolato a Torino e alle prese coi suoi negozi di dischi, i suoi locali e il suo underground musicale – oltre che all’università… – passavo ore e ore a rovistare tra gli scaffali di dischi usati con la bruciante speranza d’incappare in qualcosa degli Isis, degliOld Man Gloom o dei Neurosis, pronto a cibarmi degli scarti rivenduti da qualche ascoltatore che evidentemente non sapeva cosa farsene. Il quartetto torinese, all’epoca ancora un quintetto, venne nominato da un amico proprio in quei pomeriggi come la risposta locale a ciò che stava succedendo in ambito post hc oltreoceano. Quando poco tempo dopo mi si presentò pure l’occasione di aprire ad una loro serata col mio gruppo di allora ebbi la consapevolezza rincuorante ed incoraggiante che a pochi chilometri da casa mia qualcuno aveva già accolto ed era perfettamente in grado di metabolizzare un linguaggio sonoro per molti ancora semisconosciuto e che io stesso stavo ancora lentamente esplorando.
Volume III è la terza uscita discografica dei Last Minute To Jaffna, la prima sotto Bare Teeth Records, e di acqua sotto i ponti dal loro demo di due pezzi datato 2006 ad oggi ne è passata davvero molta. Il primo brano è una piacevole sorpresa, e forse non tanto per i dieci minuti che profumano sia di Neurosis (sublimati nelle derive soliste di Von Till e Kelly) che di un Mark Lanegan affogato nella bruma di un crepuscolo autunnale, quanto per l’inaspettata scelta delle chitarre acustiche per dare inizio alle danze, sobria e austera senza per questo essere scarna o scontata, anzi. Mi sarei aspettato tuoni e fulmini, e invece no: la melodia semplice e suadente qui vince su tutto e con lei il sibilo scelto come contrappunto alle calde profondità toccate dalla voce, lontano e gelido come il verso di un cetaceo. Un pezzo magnetico e azzeccato, davvero. Non voglio sbilanciarmi troppo dicendo quel che sto per dire, però era da un po’ che si sentiva il bisogno di qualcosa di così fresco in ambito ‘heavy’ locale e non solo. Atmosfere rilassate ma neanche troppo per il secondo brano, “Chapter XIII”, sospeso tra Bohren and Der Club of Gore e soprattutto Bark Psychosis in paranoia, ma intriso di un mood che nei primi tre minuti mi ricorda addirittura i seminaliMorphine (!!!). Grande protagonista di questi dieci minuti abbondanti è la linea sinuosa di corno tenore affidata a Stefano Casanova e nuovamente l’intreccio tra chitarre ed effetti elettronici (opera di Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen). “Chapter XXV” si colloca sonoramente a metà strada tra le precedenti, con Steve Von Till e i Grails a far capolino dall’uscio di casa, mentre “Chapter VI” incalza con un rullante ostinato e cori che fanno pensare ad una traversata oceanica a bordo di un drakkar vichingo. La conclusiva “Chapter XI”, catturata live allo Spazio211 di Torino e frutto di una tournè acustica che ha dato origine alla concezione e composizione del disco, rievoca fantasmi dei Bauhaus sposandoli aiNeurosis di A Sun That Never Sets.
Promosso a pieni voti per il suo coraggio, quindi, ma con un paio di doverose osservazioni. La prima riguarda l’andamento delle dinamiche dei pezzi in studio: è davvero un peccato che il senso di minaccia latente che aleggia in tutte le tracce non si sfoghi mai in un’esplosione sonora. ‘Scontato’, direbbe qualcuno. Invece no: i Last Minute To Jaffna dimostrano di saper giocare sulle dinamiche senza però mai calcare la mano, anche quando forse in un paio di punti (il finale di “Chapter XXV”, ad esempio) sarebbe stato opportuno farlo. Come risultato le tracce decollano tutte ma nessuna tenta un avvitamento o una picchiata per spiazzare il pubblico. L’altra osservazione riguarda invece la voce, la guida che accompagna l’ascoltatore in questo viaggio (di Caronte o di Virgilio che sia, sceglietelo voi): sincera ma vagamente malvagia e ammonitrice come quella del succitato leader dei Neurosis (e forse anche un po’ troppo), anche lei non osa mai un’impennata dal tono semi-narrativo ad un urlo liberatorio, se non nella parte finale di “Chapter XI”, e non si discosta troppo da una serie di linee melodiche comuni un po’ a tutti i pezzi.
Volume III resta comunque il disco più azzeccato del quartetto torinese. Di sicuro è quello più coraggioso, un album che nulla toglie al passato e allo stesso tempo si spalanca sul presente e sul futuro. Un album che compensa perfettamente le bordate distorte degli esordi e che, basandosi sulla ‘sottrazione sonora’ operata dalle soluzioni acustiche, di sicuro esalta l’anima oscura della band finora rimasta dietro ai muri di suono di derivazione “isisiana” portati a spasso in mezza Europa. Insomma, heavy senza per forza esserlo nei suoni. Ormai l’avrete capito: i Last Minute To Jaffna sono un gruppo da tener d’occhio, e Volume III un piccolo gioiello made in Italy da godersi in giornate plumbee e possibilmente in viaggio.
Il Disfattista
http://www.grindontheroad.com/2014/02/07/last-minute-to-jaffna_volume-iii/