Varvara Festival @ Ex Cimitero Di San Pietro In Vincoli, Torino
Nel rione Valdocco di Torino è stato eretto a fine settecento, come suggerisce l’architettura neoclassicheggiante, il cimitero di San Pietro in Vincoli, a lungo luogo di dolore e morte, in seguito profanato e divenuto teatro di messe nere. Tuttavia, dagli anni ’80 la struttura di ispirazione juvarriana è diventata palcoscenico di eventi culturali, ed è quest’anno che, tra capitelli con ghirlande e teschi alati, si è tenuta la prima edizione del Varvara Festival, appendice dedicata ai suoni elettronici – e non solo – della più ampia e complessa rassegna ISAO (Il Sacro Attraverso L’Ordinario, ndr.) di Torino. La manifestazione si è tenuta in 5 serate nell’arco di tre settimane, dopo un paio di previews primaverili, tra le quali tocca ricordare quella che ha avuto luogo durante il solstizio estivo e come protagonista Samuel Kerridge, producer mancuniano di stanza a Berlino che, nonostante l’illusoria capigliatura brit-pop, imbastì un set abrasivo di elucubrazioni noise-techno. Il vero battesimo dell’evento si è tenuto però il 19 settembre con il live dell’artista di passarto tedesco, ma di madre finlandese e padre turco, Khan, e la release party del nuovo album deiNiagara, band torinese che si sta ritagliando sempre più spazio all’interno dei nostri confini e non.
Personalità eccentrica, Khan è un artista che, a dispetto di una lunga carriera e un curriculum che vanta numerose collaborazioni, è sempre rimasto fuori dai radar mediatici. La performance dell’artista si è focalizzata prevalentemente sulla sua ultima fatica, ‘The Enlightenment Machine’, in cui ad emergere è un dub torbido e un cantato quasi teatrale. Un live dalle ritmiche sostenute, fino alla piccola parentesi conJulia Kent, in cui, al contrario, prevalgono scenari spettrali grazie alle algide partiture della violoncellista canadese. Nei Niagara invece ci eravamo già imbattuti quest’estate, durante l’A Night Like This Festival, circostanza che ci aveva permesso di apprezzarli live. Al Varvara, contesto nel quale non avevano particolari limiti di minutaggio come nel festival eporediese, si prendono lo spazio necessario per presentare il loro sophomore, ‘Don’t Take It Personally’, lavoro che nonostante segua la scia del predecessore aggiunge importanti dettagli che fanno emergere una raggiunta maturità compositiva del duo composto da Gabriele Ottino e Davide Tomat. Come avevamo avuto modo di accennare nel precedente report, il loro è un pop-elettronico di scuola Animal Collective, che affonda le proprie radici nella folktronika e in un psych di beatlesiana memoria. Il duo – ampliato a trio – alterna brani per la maggior parte movimentati ad altri più rarefatti, fino a veri e propri cortocircuiti elettronici: il loro è sicuramente il concerto più colorato dell’intera rassegna, il quale si conclude con una pioggia di coriandoli che lascia sul selciato una coltre argentata.
Il giorno successivo, dopo esser usciti dal limbo del “Viaggio alla fine dei giorni”, in scena al Teatro Colosseo di Torino, ci dirgiamo nuovamente verso l’ex camposanto, dove da lì a poco il giovane duo scozzese Clouds avrebbe fatto terra bruciata della cripta. Un DJ set forsennato, dal piglio ravey, in cui un banger incessante non concede al pubblico di rifiatare: un duo che, nonostante l’età, sembra aver assimilato bene la lezione hardcore anni ’90. Due ore che risultano provanti se sottomessi senza soluzione di continuità ai martelli pneumatici degli scozzesi, e incastrate tra i set di due delle maggiori realtà dancefloor di Torino: We Play The Music We Love e Observe. La seconda settimana di Varvara si apre invece con un mood lontano dalla techno sfacciata con la quale ci eravamo congedati il sabato precedente. Giovedì 25 va in scena la “Live After Death Night”, il cui titolo rimanda al celebre live-album degli Iron Maiden e che si apre con il live dark-ambient di Urbanspaceman, sul palco insieme al visual-artist Riccardo Muroni. Si susseguono poi ilpost-core dei Last Minute To Jaffna e l’etno-psichedelia deLa Piramide di Sangue, lasciando l’elettronica tout courtalla sera seguente, in cui sarebbero state protagoniste le casse rullanti. La serata successiva comincia infatti con il rock ad alti BPM dei Settembre Nero e il set del duo Zip Coed, e si conclude, oltre che con il DJ set della crew ospite (The Dreamers, ndr.), con Om Unit, il quale mixa per un paio d’ore vecchie (drum n bass, dubstep) e redivive (jungle, footwork) tendenze della bass music.
Il 3 ottobre invece va in scena la serata conclusiva, vera e propria ciliegina sulla torta, che vede la partecipazione di uno dei nomi più prolifici del panorama noise, industrial, dark e techno degli ultimi 15 anni, Dominick Fernow, qui nelle vesti della sua più recente creatura, Vatican Shadow. Già incontrato in occasione della seconda giornata del Primavera Sound, il producer americano, dopo un effimero ed irrequieto preludio ambientale, torna ad intonare bollettini di guerra con la sua techno grezza e scura, e i suoi rumorismi industriali. Un set che si rivela un escalation di violenza, dove colpi di cassa diventano ben presto innarrestabili bombardamenti, che ci immergono in un clima distopico e rendono l’atmosfera all’interno della cappella satolla fino all’eccesso. Durante i suoi mantra post-nucleari l’artista diventa un animale da palco. La sua è una teatralità isterica che ci ipnotizza: corre convulsamente da un lato all’altro dell’abside, fermandosi solamente per aizzare il suo pubblico e per mettere mano agli aggeggi ellettronici. Ad aprirlo invece è stato il corteo funebre dei Tons, che in un’eccezionale formazione a quattro che prende il nome di Grams, abbandonano le slavinesludge-doom che li caratterizzano per soluzioni drone, coadiuvate dall’inclusione di una componente elettronica. Una vibrante stasi che preannuncia l’imminente apocalisse techno.
Non me ne vogliate per l’uso di retoriche del tipo “ce n’è per tutti i gusti”, ma la proposta del Varvara Festival, come si evince dalle righe precendenti, è stata davvero un ventaglio eterogeneo in cui una certa attrazione per le atmosfere bigie ha fatto da filo conduttore. Inoltre, il Varvara, che ha solo formalmente la ragione sociale di festival, è una rassegna che coprendo un arco temporale più ampio rispetto a molte altre manifestazioni locali (che congestionano il mese successivo), ha sicuramente dato linfa ad un periodo altrimenti poco dinamico della città (anche MiTo SettembreMusica sembra shiftare sempre più verso il capoluogo lombardo, a danno della città sabauda). Motivo per il quale, oltre alla qualità della line-up e al fatto di riportare alla luce uno spazio suggestivo come l’ex cimitero di San Pietro In Vincoli, ci porta a supportare questo tipo di evento al suo primo – e riuscito – tentativo.
Davide Olivero
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